Non tutto vale tanto
Peter Drucker l’ha detto in maniera magistrale e terribilmente spietata «È probabile che tra alcune centinaia di anni, quando scriveranno la storia della nostra epoca da una prospettiva di lungo termine, l’evento più importante per gli storiografi non sarà la tecnologia, né internet né l’e-commerce. Sarà un cambiamento senza precedenti nella condizione umana: per la prima volta – letteralmente – un numero di persone considerevole e in rapido aumento può scegliere. Per la prima volta dovranno gestire se stesse. E la società è del tutto impreparata a questo».
Siamo impreparati, anzi siamo preparati malissimo.
Pronti a tutto cioè a niente
Nato nel 1984, sono cresciuto con consigli terribili come “lascia sempre una porta aperta”, “non fissarti su una cosa”, “meglio poter essere in grado di adattarsi”. Negli anni a seguire, penso ad esempio a quel nevralgico e assurdo passaggio che va dalla fine del liceo alla scelta dell’università, il consiglio assumeva contorni ancora più precisi (o niente affatto). Il consiglio che andava per la maggiore suonava come “non saprai che succede, metti dentro tanta roba”. In altre parole: cambierà così tanto che è meglio sapere di tutto un po’, preferibilmente di tanto un po’.
Tornando ad oggi la storia non è cambiata, anzi. Nei giorni in cui ci trastulliamo, preoccupiamo e confortiamo al grido di “il lavoro del futuro non è ancora stato inventato”, la tendenza alla preparazione a tutto tondo è arrivata a livelli esasperati. La confusione e la non specializzazione ha assunto un’aurea mistica, sponsorizzata soprattutto tramite parole come reinventarsi, resilienza e multipotenziale. Parole che chiaramente hanno significato molto diverso tra loro ma si incastrano bene con il ritardo della scelta e la (pseudo) flessibilità al cambiamento.
Ecco, pensare che il cambiamento sia questione di cambiare continuamente, di lasciare tante porte è un problema che personalmente trovo preoccupante e fuorviante. Come nei lontani giorni di scuola, siamo circondati da cattivi consigli. Il nostro sistema continua a remare in questa direzione e siamo così assuefatti da continuare a dare e ascoltare consigli di questo tipo.
“Nelle scuole intermedie, siamo incoraggiati a iniziare ad ammassare “attività extracurricolari”. Alle superiori, studenti ambiziosi si battono ancora più duramente per apparire competenti su tutto. Nel momento in cui entra all’università, uno studente ha speso un decennio a farsi un curriculum incredibilmente variegato per prepararsi a un futuro assolutamente inconoscibile. Qualunque cosa accadrà, lui è pronto: a niente in particolare.” Peter Thiel
Siamo la società del cambiamento ma anche quelli che non intendono cambiare: preparati a tutto cioè a niente.
Scegliere è essenziale
Altra cosa tipica dei nostri giorni è l’abbondanza.
Abbondanza non soltanto di informazioni ma anche di opinioni. Un mondo interconnesso è causa del fatto che tutti possano dire tutto su tutti e che anche quando non lo fanno noi immaginiamo (anche a ragione) che possano farlo. Un circolo vizioso che ci mette in una situazione di stallo: possiamo scegliere, potremmo fare tutto ma forse è il caso che non facciamo niente. Niente che in realtà si traduce in fare tante cose ma dal contorno non definito.
Un continuo allenamento alla potenziale resilienza, un non prendere una posizione, una volontaria rinuncia alla definizione e una consapevole scelta nel lasciare i contorni, i nostri contorni (chi siamo) sempre in continuo divenire. Per quando? A volte per sempre.
Eppure, anche oggi, anzi oggi più che mai, lo straordinario ha contorni definiti, “definitissimi”. Sbagliare per eccesso è quasi sempre meglio. Persone uniche, aziende uniche, professionisti unici, coloro che vincono sul mercato e pare siano più felici sono tutti di questo tipo qui: definiti, con angoli esaltati e non smussati, essenziali.
Essenziali ovvero che hanno una gerarchia di priorità. In ciò che sono, in ciò che sanno, in ciò che fanno.
Concetto semplice ma di difficile attuazione perché presuppone un atto drammatico: la scelta.
La legge di potenza
Trovo che il modo migliore per comprendere quanto dico, quanto viviamo, sia pensare a noi stessi come un fondo azionario, un venture capital, come suggerisce ancora una volta Peter Thiel in “Da zero a uno”. Una delle leggi in questo campo, la legge di potenza, spiega in maniera incredibile il controsenso quotidiano.
Il segreto più grande nel venture capital è che il miglior investimento di un fondo di successo è uguale o supera tutto il resto del fondo messo insieme.
“L’errore sta nell’aspettarsi che i ritorni saranno distribuiti normalmente, vale a dire credere che le cattive imprese falliranno, quelle medie resteranno stabili e le buone offriranno un ritorno doppio o persino quadruplo. Avendo in mente questo modello insulso, gli investitori assemblano un portafoglio diversificato e sperano che i vincitori bilanceranno Questo approccio “spalma e prega”, però, produce di solito un intero portafoglio di flop, con nessun bersaglio centrato. Questo perché i ritorni sul venture capitalism non seguono affatto una distribuzione normale. Seguono piuttosto una legge di potenza: una manciata di imprese sorpassa drasticamente tutte le altre in performance. Se vi concentrate sulla diversificazione invece che sull’individuazione attenta di quelle poche imprese che possono crescere enormemente di valore, prima di tutto perderete queste ultime.”
Quanto costa? Quanto vale?
Come dice Peter, se esperti uomini di affari commettono errori simili non è sorprendente che li compiamo anche noi, tutti i giorni. Puntiamo tanto su tutto, “consigliati” dal fatto che prima o poi qualcuna pagherà i dividendi.
Ci prepariamo in questo e quell’altro con la stessa intensità e lo stesso impegno, distribuendo in maniera “democratica” soldi e cuore, speranze e attitudini. Essere tanto su tutto, essere onnipresenti. Essere su tutti i social del mondo, coprire ogni mercato, prepararsi a qualsiasi sviluppo degli eventi… e nel frattempo non essere mai davvero niente.
Ciò che sfugge è che costo e valore sono voci diverse. Che noi siamo persone diverse, uniche, e che in noi c’è qualcosa di potenziale e qualcosa no.
In cosa siamo in grado di poter eccellere e non cosa sembra richiedere il mercato?
Domande che potrebbero essere retoriche ma che non lo sono affatto. Ogni giorno parlo con persone che pensano di volere e dovere dare una mossa alla propria carriera (nell’impresa, da freelance, nel percorso lavorativo) ed esordiscono con “mi sembra che questa sia una buona idea…”. “Buona idea che chiaramente non è quasi mai loro ma è l’ennesimo suggerimento causato dall’enormità di informazioni e opinioni, e dalla mancanza della Scelta.
In termini molto più semplici: spendere 500 euro per un iPhone è un buon affare ma spenderli per un corso è una cifra. Spendere 2000 euro per un pc è un lusso ma spenderne 1000 in una vacanza e 1000 in “varie” è un buon affare. Non sbilanciarsi. Non puntare su niente. Diversificare…
Discorso che funziona bene anche senza moneta. Quanto tempo spendiamo nella formazione di ciò che amiamo fare e quanto ne spendiamo nel correre all’adeguamento di competenze medie che sembrano essere richieste sul mercato?
Sono discorsi comuni, semplici e quotidiani. Se sbagliano anche esperti uomini di affari, non sorprende che sbagliamo costantemente anche noi.
Scommettiamo?
Alla fine, si spiega tutto in poche parole, forse due: fiducia, coraggio.
Quanto credi in ciò che fai? Quanto credi in te stesso? Quanto coraggio hai nel seguire la tua strada senza farti condizionare dalle previsioni e dai consigli a buon mercato?
Quasi tutti coviamo l’intima speranza di essere speciali ma pochi hanno la fiducia e il coraggio di scommetterci. Perché a scommetterci, ti tocca scegliere.
Evidenziare gli angoli anziché smussarli. Non fare tutto ma poco. Non pensare che tutto valga tanto. Puntare dritto in direzione “la tua strada”. Che non è mai la mia, quella del milionario della Silicon Valley o del tuo vicino di casa. È la tua ed è quella che non ha una mappa pronta e sicura.
C’è da mettersi in viaggio con un bagaglio leggero e allo stesso tempo pesante. Coraggio e fiducia. Andare avanti. Non prepararsi, ma fare.